Un tesoro prezioso riconsegnato al culto e agli amanti dell’arte: da sabato scorso, la cripta della Cattedrale di Otranto, una delle perle architettoniche della città dei Martiri, è riaperta, dopo tre anni di lavori che ne hanno permesso il recupero integrale. Il progetto di restauro conservativo, coordinato dall’architetto Fernando Russo ed eseguito dall'impresa Nicolì s.r.l. di Lequile, grazie ai fondi dell’8 per mille, ha riportato riportare in vita una struttura, che rappresenta idealmente la coabitazione di riti liturgici il connubio e il dialogo tra i popoli del Mediterraneo. Il soccorpo della cattedrale, funzionale all'architettura della chiesa superiore, si caratterizza per una fitta serie di colonne, riproducendo lo stile della cisterna di Costantinopoli. Le 45 campate poggiano su 42 colonne e 23 semicolonne, diverse l'una dall'altra per provenienza, materiale, e foggia del capitello. Le tre absidi, rivolte ad Oriente, si aprono con sottili finestrelle nella via retrostante. L'abside centrale conserva un'affresco della Theotokos in trono, databile al XII secolo, di scuola italogreca. Gli interventi conservativi hanno riguardato l'intera struttura portante interessando colonne, capitelli, pavimentazione e rimodulando l'intero sistema di illuminazione. Nelle fasi di lavoro sono emerse le basi di appoggio dei fusti delle colonne, costituite da fregi scolpiti con decorazioni fitoformi: queste scoperte sono state portate a vista (grazie a un telaio in acciaio corten e vetri stratificati temperati), mentre il formato della pavimentazione riprende quello del 1835 (pervenuto tramite una stampa dell'epoca). L’illuminazione artistica (realizzata dall’impresa DZ engeneering s.r.l. di Forlì) cerca di rispettare la luce naturale del luogo.
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Appena fuori la cinta urbana cinquecentesca, la preziosa chiesa dei santi Niccolò e Cataldo rappresenta un raffinato gioiello di architettura medievale. Il "Tempio di Tancredi" venne fondato nel 1180 dal conte d'Altavilla come probabile adempimento di un voto, analogamente a Guglielmo I a Monreale, ma forse anche come mausoleo privato. Riccamente dotati di privilegi feudali e di proprietà terriere affidate alle cure dei benedettini, la chiesa e il convento iniziarono a declinare in età sveva e angioina, per essere poi ceduti nel Quattrocento ai padri Olivetani che intervennero sulle strutture medievali. L'architetto Agnus, ricordato nell'epigrafe in facciata, ideò un'originale struttura a croce contratta dalle notevoli ascendenze borgognone, qui perfettamente fuse con elementi di lontana derivazione orientale. Dell'originario prospetto resta oggi ben poco: quando nel 1716 Giuseppe Cino intervenne a movimentare la facciata romanica, decise di salvare soltanto il rosone. Il prospetto appare scandito in verticale da lesene lievemente aggettanti che continuano anche nell'ordine superiore: grande rilevanza è attribuita alle dieci sculture raffiguranti santi dell'ordine degli Olivetani e, sopratutto, all'elaborato fastigio, vero e proprio capolavoro barocco, culminante con lo stemma dell'ordine. La volumetria esterna appare unificata nei suoi diversi prospetti da un'originale teoria di archetti ciechi alternati a lesene pensili. Questo motivo ricorre anche nel campanile a vela e nel tiburio con la singolare cupola "a bulbo" su tamburo ottagonale, di chiara ascendenza islamica. L'elemento più prestigioso è il portale principale, con la presenza di decorazioni fitomorfe nelle tre cornici, cui si aggiunge una quarta poggiante su pilastrini ottagonali e basamento, sembrando quasi avere la consistenza di un intaglio ligneo o di un pregiato stucco arabo. Ferdinand Gregorovius, grande storico tedesco dell'Ottocento e viaggiatore per eccellenza, definiva l'interno della chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo "uno dei più originali monumenti dell'arte normanna e quello che produce la più completa impressione di simmetria e spazialità classica". La singolare spazialità dell'interno è determinata dalla diversità delle coperture (botte spezzata e crociera semplice) e dei sostegni (pilastri, semipilastri, semicolonne). Il braccio longitudinale, suddiviso in tre navate voltate, è interrotto da un transetto poco pronunciato. Poco è rimasto dell'originale decorazione ad affresco: le pitture che animano la superficie interna sono in genere posteriori e risalgono al XV/XVII secolo. Glia altari barocchi, attribuiti a Mauro Manieri, ospitano due tele del pittore napoletano Giovan Battista Lama. |
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Maggio 2023
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