Fanno capolino dai balconi, o appese su fili da un lato all'altro di strade o sedute ai crocicchi. Difficile non notarle nel loro abito nero con i piedi penzolanti nel vuoto. E chi viene nel Salento nel periodo che va dal martedì di Carnevale alla domenica di Pasqua non può che restare stupito dalla presenza di queste arcane figure. Ma che sono, o meglio, chi rappresentano le "Quaremme"? Sono dei fantocci raffiguranti una vecchia, vestita di nero e dalle brutte fattezze con la conocchia in una mano e nell'altra un'arancia con delle penne di gallo. La tradizione più tarda la vuole vedova di Carnevale, che muore soffocato mentre ingoia l'ultima polpetta. La presenza di tali fantocci, tuttavia, non è esclusiva del Salento, ma appare assai diffusa in tutta la Penisola. L'origine è strettamente legata al periodo di riferimento: la primavera, infatti, è stata sempre considerata, nel mondo agricolo, il vero e proprio capodanno. Non a caso, lo stesso Cattabiani, ne analizza la presenza collegandola ad un'altra vecchia che compare all'inizio del nostro calendario civile: la Befana. La presenza della Quaremma, quindi, analogamente a quella della Befana, è la raffigurazione della passata stagione, dell'inverno col quale si chiude il vecchio anno e che prelude al trionfo della nuova stagione. Non a caso il fantoccio reca nelle mani una conocchia, atavico simbolo utilizzato nelle raffigurazioni delle Parche per simboleggiare il tempo che passa. E proprio l'altro elemento caratteristico è funzionale alla conta del tempo: l'arancia con le piume di gallo. La presenza dell'arancia si ricollega al simbolismo classico del frutto: secondo la mitologia greca, infatti, esso fu portato in dote nelle nozze tra Giunone e Giove e raffigura la fecondità e l'amore. Non a caso ancora oggi i fiori d'arancio sono simbolo delle nozze. La fecondità posta nella mano della Quaremma è il dono offerto nel passaggio della stagione: se la conocchia indica lo scorrere del tempo, e se i vestiti logori e scuri indicano una stagione segnata dall'oscurità e dalla pochezza dei frutti, l'arancia col suo oro richiama lo splendore del sole che risorge e che rende di nuovo fertile la terra. Infisse nell'arancia vi sono, poi, delle piume di gallo. Anch'esso elemento solare, in quanto annuncia il sorgere del nuovo giorno, viene poi associato in età cristiana come uno dei simboli della passione del Cristo. Le piume sono in realtà una sorta di calendario: è necessario estrarne una per ogni domenica di Quaresima per poi giungere alla domenica di Pasqua. Nel corso dei secoli, tale usanza viene, infatti, traslata nei significati dal sentire cristiano e i simboli solari, così come accaduto col Natale, diventano simboli del Cristo Risorto, nuovo sole che illumina il mondo con la luce della sua gloria. Ecco, quindi, che accanto alle valenze ancestrali, presenti nelle rappresentazioni della Vecchia in tutta la Penisola, si collocano gli attributi più tardi, e la Quaremma diventa personificazione della Quaresima stessa, portando a raffigurare non più la stagione passata ma il digiuno e la penitenza pre-pasquale. Il fantoccio della Quaremma viene bruciato il mezzogiorno di Pasqua. Ancora una volta, mentre nel cielo splende nel punto più alto il sole, nella domenica che segue la "luna di marzo" e che, pertanto, è simbolo nel mondo agricolo del risveglio della natura, la vecchia annata si dissolve nel rito purificatorio del fuoco. Il calore dei falò sulla terra aiuterà ancora una volta il sole nel suo ciclo dell'anno, e saluterà il suo risveglio portatore di benessere e fecondità.
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Cosa sarebbe il Salento senza le grandi masserie, oggi riconvertite per accogliere ospiti, e la storia e l'arte che traspare dalle pietre? Il 9 Febbraio abbiamo visitato il complesso rupestre di S: Biagio, nel nord Salento, a S. Vito dei Normanni. Sosta obbligata è stata la vicina masseria Baroni Nuovi che ha deliziato gli ospiti con i prodotti della terra, e ha creato atmosfere e profumi del tempo che fu. Poi il viaggio nelle grotte, tra antiche celle monastiche e affreschi bizantini, in una delle rappresentazioni pittoriche più belle ed importanti dell'intera regione. Dalla scene del Vangelo fino agli inserimenti della tradizione apocrifa, la decorazione della cripta di S. Biagio stupisce per la ricchezza dei dettagli e delle vicende narrate: un vero e proprio libro illustrato per tutti i visitatori. Una ricchezza del territorio che conserva ancora intatto ed incorrotto tutto il fascino dei secoli.
(ph. Chiara de Luca) Li abbiamo incontrati per la prima volta la mattina del 29 dicembre. Una distesa di camper bianchi sull'area dell'ex "Carlo Pranzo" a Lecce. Hanno attraversato l'Italia per scegliere di trascorrere nel Salento il passaggio al nuovo anno. Un gruppo variegato, simpatico e interessato, guidato dagli instancabili Cristina e Simone, alla scoperta di una terra che conoscevano a tratti, ma che ancora non era riuscita a svelarsi completamente. Il nostro compito è stato quello di raccontare le pietre, modellate con i volti di angeli e santi, e come novelli cantastorie tornare indietro nei secoli: alle storie d'amore tra Euippa e Idomeneo, ai viaggi di Enea, alle battaglie epiche degli otrantini contro i turchi. Il Salento, l'antica terra d'Otranto, si è svelata sotto i nostri occhi, fieri di aver prestato ancora una volta la voce a questa parte di Puglia che profuma d'Oriente. Pur tornando su luoghi noti, ogni viaggio è diverso. Spaziare dal Nord Salento fino al Capo di Leuca, da Otranto a Gallipoli, inserire mete poco "battute" come Nardò, Massafra, Manduria, ha permesso di creare un viaggio intimo e riservato, lontano dai clamori delle folle turistiche. Anche Otranto, alla vigilia di Capodanno, è apparsa molto intima e riservata, sotto una pioggia che celava la sua malinconia di regina ferita e addormentata, capace di custodire i suoi misteri e i suoi messaggi dal passato. Lecce la Signora del Barocco, e poi Gallipoli con i colori delle tele e il ghigno beffardo del Malladrone, Nardò custode di scorci eleganti tra vicoli rimasti intatti, e poi il trionfo dell'arte di Galatina e il suono lontano del tamburello... un viaggio che ci ha condotti a Manduria, sulle orme degli antichi Messapi e a sentir il profumo del Primitivo. E poi Taranto, la Magna Grecia, col suo Museo Archeologico ritrovato, con i suoi ori, con la bellezza della classicità espressa nei marmi, nei bronzi, negli oggetti di vita quotidiana, nelle tombe... Il giorno del saluto arriva mentre un sole caldo illumina la gravina di Massafra. Madonne e santi dagli occhi d'Oriente salutano dalle grotte sparse in una natura lussureggiante il gruppo, accomunato non più soltanto dalla passione dei viaggi, ma dal fascino magnetico di questa terra. Il viaggio è finito, e nuovi amici si sono ritrovati. Natale è festa magica, festa della luce. Passeggiare nelle vie di Lecce vuol dire vivere un sogno di colori e fantasia, e tornar bambini. Una città che vive tra pastori e renne di luce, tra angeli e santi barocchi, quasi un grande presepe barocco che vive nel teatro delle vie e delle piazze. Grandi luci e microscopiche statuine accompagnano lo sguardo meravigliato in una Lecce che stupisce ad ogni passo, in una notte di dicembre raccolta e fermata per sempre dalla macchina fotografica di Chiara.
Lecce, quartiere S.Lazzaro. O, come lo si conosceva fino a qualche decennio fa, "a Santa Lucia". Al limite della città antica, ma in un luogo altrettanto carico di storia per la presenza nelle immediate vicinanze del convento di S. Maria del Tempio, sorgeva la chiesetta semi-ipogea di Santa Lucia. Una santa siciliana, protettrice della vista e legata a doppio filo con una serie di pratiche devozionali che risalgono alla notte dei tempi e che permettono ancora di scoprire gli influssi del paganesimo. La chiesa dedicata alla santa siracusana sorgeva al di sotto del piano stradale. Ad essa si accedeva tramite due ripide rampe di scale: una per gli uomini e una per le donne. La struttura interna, intima e raccolta, ospitava centinaia di devoti che a turno si recavano a ricevere l'olio santo con cui bagnarsi gli occhi e propiziarsi un anno di buona salute. Appare evidente, in questo caso, il richiamo ai culti in grotta, laddove il buio diventava necessario per rendere sacro l'aspetto della luce. E Lucia, appunto, incarna proprio nel nome tutte le valenze simboliche della luce. Non a caso, proprio il dialetto leccese ci è di aiuto nel detto popolare " Te Santa Lucia llunghisce la dìa" (per S. Lucia si allunga il giorno) sebbene sia noto che, invece, inizia il periodo di maggior buio fino al solstizio d'inverno. Ebbene, in tal caso si nota come, paradossalmente, la crescente oscurità faccia parte della susseguente luminosità, traslata nel linguaggio simbolico cristiano nel ciclo di morte e resurrezione del Cristo. La luce, quindi, come simbolo e prefigurazione del Natale, come dono stesso del Natale. E' questo il motivo per cui in molte nazioni è proprio la santa siciliana a portare i doni ai bambini. Ed è lo stesso motivo per cui essa segna tradizionalmente l'inizio delle feste natalizie e il via di quell'opera di devozione popolare che è la realizzazione del presepe. Dire Santa Lucia, quindi, a Lecce significa dire anche e soprattutto "pupi". Sono essi la presenza personale della società attorno alla mangiatoia. Mestieri tradizionali e e scomparsi, scene di vita quotidiana, pastori e pescatori vengono modellati con la creta dalle mani degli artigiani leccesi per essere pronti per la tradizionale fiera. Essa fino agli anni '50 del secolo scorso si è svolta nelle vicinanze dell'antica chiesa, per poi trovare via via posto in contesti sempre diversi, dalle piazze ai palazzi. Ma sebbene possa vantare oltre quattro secoli di storia e di trasformazioni, la "fèra" con le sue luci, i suoi pupi i suoi presepi continua a emozionare ogni anno e permette di assaporare la tradizione e il lavoro di tanti artigiani che con paziente maestria operano semi nascosti, per poi regalarci la luce del Natale. Proprio come Santa Lucia e la sua chiesetta nascosta nel cuore di Lecce. E' il 30 Novembre dell'anno 60 d.C. Gli ulivi fanno da cornice alla campagna di Patrasso, dove giunge la brezza dal porto. Un uomo di 65 anni, apostolo di Gesù di Nazaret, muore appeso ad una croce che da lui prenderà il nome. E' Andrea, fratello di Simon Pietro. A lui si rimanda la cristianizzazione della città di Bisanzio e per questo diventerà patrono della sede di Costantinopoli. Anche il Salento, terra per secoli sotto il dominio bizantino, onora l'apostolo con feste cariche di tradizioni e suggestioni. Ma il paese in cui il santo pescatore è di casa è Presicce, a pochi chilometri da Leuca e da quel mare oltre il quale sorge Patrasso. Già qualche giorno prima del 30 di Novembre, la cittadina viene svegliata dal tradizionale suono de "lu tamburreddru", piccola orchestrina che percorre all'alba le vie del centro suonano motivetti allegri. La sera della festa, poi, si rinnova la tradizione. Al rientro della processione che ha visto la partecipazione dei fedeli, si accende la grande Fòcara (falò di tralci) che col suo crepitio e le sue fiamme farà sentire il suo calore per tutta la serata. Il mare, elemento essenziale del popolo salentino, torna ad essere protagonista con la distribuzione delle triglie ai partecipanti alla festa. Nel ricordo del santo pescatore, la comunità di Presicce rinnova il rito della festa e dell'accoglienza, in uno scenario suggestivo fatto di musica e luci colorate, di mille mercanzie esposte nella grande fiera. Tra palazzi barocchi e corti imbiancate a calce, tra i giardini pensili e i frantoi ipogei che han reso famoso il paese, Presicce rinnova soprattutto emozioni e suggestioni secolari attorno ad un fuoco, capace di incantare grandi e piccini, nello scenario di un paese sospeso tra mare e terra, tra i borghi più belli d'Italia. I dolmen e i menhir hanno sempre affascinato il visitatore: enormi blocchi di pietra, cavati con grande fatica e poi collocati in maniera misteriosa, forse per onorare gli dei, forse per propiziare un raccolto. Avvolti dalle nebbie dei millenni, questi monumenti attendono il visitatore immersi nella pace di uliveti secolari, nel silenzio di campi circondati da muretti a secco, dove il tempo sembra essersi fermato. WelcomeLecce propone un viaggio alla scoperta dei megaliti salentini, peculiarità unica del territorio. Ancora carichi di misteri e di leggende, essi rappresentano un unicum nel panorama nazionale. Possono competere, per numero e distribuzione, con i fenomeni riscontrati nell'Europa settentrionale, nella Normandia e in Gran Bretagna. Anche la distribuzione appare assai particolare: la grande frequenza di tali monumenti nell'area dell'entroterra idruntino, tra i comuni di Giurdignano, Giuggianello, Uggiano La Chiesa e Minervino di Lecce, ha permesso di creare un percorso di visita coerente, tale da permettere al visitatore di immergersi completamente in tutte le tipologie monumentali, portando, così, alla creazione di una grande area archeologica condivisa. L'estensione di tale area, una delle più grandi in Europa, ha permesso che l'intero comprensorio fosse conosciuto a livello internazionale come "Giardino Megalitico d'Europa". Ogni anno, centinai di curiosi e appassionati percorrono le viuzze tra gli uliveti e i muretti a secco, desiderosi di ammirare gli "alberi di pietra" e respirare ancora tutto il mistero e il fascino che tali monumenti riescono ancora a trasmettere. Per scoprire tutti gli itinerari proposti da WelcomeLecce all'interno del Parco Megalitico cliccare qui La giuria di selezione incaricata di valutare le candidature delle città italiane per l'attribuzione del titolo di Capitale europea della cultura 2019 si è riunita oggi a Roma e ha raccomandato l'inserimento di Cagliari, Lecce, Matera, Perugia, Ravenna e Siena in un elenco ristretto. Una volta che l'Italia avrà avallato tale raccomandazione, le città preselezionate compileranno l'atto di candidatura entro l'estate prossima. La giuria si riunirà nuovamente nel terzo trimestre del 2014 e raccomanderà la città italiana da designarsi Capitale europea della cultura 2019. Androulla Vassiliou, Commissaria per l'Istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù, ha dichiarato: "Desidero congratularmi con le città per la loro nomination dopo la prima fase della competizione. Più di venti città – un numero record - sono in corsa per il titolo. Questa è la prova della popolarità dell'evento “Capitale europea della cultura". Il solo fatto di essere iscritte nell’elenco ristretto per l'attribuzione del titolo può arrecare alle città interessate importanti benefici a livello culturale, economico e sociale, a condizione che la loro offerta sia inserita in una strategia di sviluppo a lungo termine basata sulla cultura. Le Capitali sono l'occasione per i cittadini europei per imparare a conoscersi meglio, condividendo patrimonio storico e valori, in altre parole, per provare un sentimento di appartenenza ad un'unica comunità di cittadini europei. Incoraggio tutte le città preselezionate a sfruttare al meglio tale opportunità." Conformemente alla decisione del Parlamento europeo e del Consiglio dei ministri, che definisce i criteri per il conferimento del titolo di Capitale europea della cultura, l’Italia e la Bulgaria sono i due Stati membri che ospiteranno la manifestazione nel 2019. La preselezione in Bulgaria avrà luogo il mese prossimo. Dopo Marsiglia (Francia) e Košice (Slovacchia) quest'anno, le future Capitali europee della cultura saranno Umeå (Svezia) e Riga (Lettonia) nel 2014, Mons (Belgio) e Plzen (Repubblica ceca) nel 2015, Wrocław (Polonia) e Donostia-San Sebastián (Spagna) nel 2016, Aarhus (Danimarca) e Paphos (Cipro) nel 2017 e La Valletta (Malta) nel 2018. Come Capitale europea della cultura per il 2018 è stata proposta anche Leeuwarden (Paesi Bassi). L’Italia ha invitato le candidature delle città interessate alla fine del 2012. Hanno presentato domanda più di venti città: Aosta, Bergamo, Cagliari, Caserta, Vallo di Diano e Cilento con la Campania e il Mezzogiorno, Erice, Grosseto-Maremma, L’Aquila, Lecce, Mantova, Matera, Palermo, Perugia-Assisi e Umbria, Pisa, Ravenna, Reggio Calabria, Siena, Siracusa, Taranto-Sudest, Urbino e Venezia-Nordest. Le candidature sono state esaminate da una giuria composta da tredici esperti culturali indipendenti, sei designati dall'Italia e sette dalle istituzioni europee. I membri della giuria designati dalle istituzioni europee sono attualmente:
(fonte: Commissione Europea - www.europa.eu) I ricordi, si sa, spesso si rincorrono, e molte volte hanno il volto di persone e il profumo delle strade. E nei ricordi di Lecce, con quella tenerezza cara del tempo passato, non può mancare lei, Giulia. O meglio, "la Giulia". Personaggio tipicamente leccese, incedeva lenta tra le vie del centro, sotto gli sguardi di angeli e santi in pietra e le girandole delle rondini. Ormai la conoscevano tutti, era così familiare da far concorrenza a Sant'Oronzo sulla colonna. Era nata nel 1883, e ha trascorso la sua vecchiaia convinta di essere la figlia del re Vittorio Emanuele e sposa di Umberto, il quale le avrebbe dato per figli Vittorio Emanuele, Gabriella, Titti e Maria Pia. Con questi nomi accarezzava i bambini che a lei si avvicinavano incuriositi, soprattutto per via delle grosse chiavi che teneva appese alla sua veste. Erano quelle, per lei, le chiavi della città, donatele da Umberto in persona mentre, camuffato da contadino, si recava a Lecce per visitarla e trascorrere passionali notti con lei. A lei , uqindi, toccava il compito di custodire la città, di permetterne l'accesso o di cacciare chi non meritava viverci. Vesti nere e logore, un fiore in mano come scettro, un sorriso da "nobile" e le chiavi di Lecce appese alla cintola: così Giulia ha segnato, con la sua ricerca amorosa del re tra Porta Rusce e l'anfiteatro, un pezzo della storia popolare, ed arricchito l'album dei ricordi di una città sospesa tra passato e futuro E' una mattina calda di inizi novembre, quando il Salento Express taglia la catena che chiude la linea ferrata antica e scende verso il porto. Lo sguardo curioso dei pescatori seduti sulla banchina a sistemar le reti e le nasse di giunghi appese ai cancelli del mercato del pesce accompagnano gli oltre 150 passeggeri che hanno deciso di trascorrere il ponte di ognissanti nella città ionica, nell'ennesimo viaggio del treno storico. La città brilla nella sua pietra dorata mentre i gabbiani stridono in volo. Nei vicoli della città vecchia, il sole sembra attenuato dalle mensole e balconi dei poderosi palazzi barocchi e rococò che circondano i gruppi in visita. Il museo diocesano raccoglie la fede di questa gente: confraternite e sodalizi che con abiti colorati percorrevano (e percorrono) le vie del borgo in suggestive processioni, fermando il tempo nell'attimo dell'infinito. Ecco allora che i costumi delle singole confraternite appaiono assieme a strumenti e oggetti tipici della Pasqua, periodo in cui questa città si copre della sua veste spagnoleggiante e arcaica, con gli incappucciati che con grossi ceri procedono lenti di notte tra le corti e i vicoli. E' poi il trionfo del barocco e dell'arte argentaria napoletana: un susseguirsi interminabile di calici, pissidi, ostensori e reliquari, di pregevolissima fattura, testimoni di un tempo in cui il trono e l'altare regnavano indisturbati nella magnificenza dell'arte e della ricchezza. Dalla luce della corte curiale, si scende giù nei frantoi ipogei, dove il lavoro delle squadre di marinai, come antichi alchimisti, traeva dall'oliva l'oro liquido... E' proprio l'olio la grande ricchezza di Gallipoli: una delle flotte mercantili più grandi del Mediterraneo, capace di servire di olio lampante tutte le più grandi città d'Europa. Storie di acqua e di pietra che si fondono e si affiancano. Una pietra grezza, dura, che non è bianca e molle come la "leccese". Qui è il carparo a combattere con la salsedine e la brezza marina. E il carparo sembra essersi automodellato nella facciata della cattedrale di S.Agata. Qui Zimbalo, grandissimo architetto barocco leccese, ha trasformato la dura pietra in una girandola allegra di angioletti e fiori, per custodire all'interno i grandi tesori della pittura. Luca Giordano, Giovanni Andrea Coppola, Nicola Malinconico, e poi Gian Domenico Catalano, Cosimo Fanzago, Giorgio Aver e Ambrogio Martinelli: grandissimi artisti che han reso celebre Gallipoli nella storia dell'arte. Una immensa pinacoteca barocca, quasi sui generis se rapportata alla versione "classica" leccese, fatta si scultura e cartapesta. Qui le tele aprono squarci di paesaggi immensi, sospesi tra il reale e l'immateriale. Nel Sant'Angelo del Coppola qualcuno rivede la lezione michelangiolesca del Giudizio, altri nel S. Isidoro ritrovano l'autoritratto del Giordano. Storie di uomini e pennelli che han colorato la vita di un secolo d'oro. E l'oro torna a risplendere sulle onde del mare, nel pomeriggio, sul seno del canneto. La piccola chiesuola di S.Cristina veglia sui pescherecci ancorati e le mani dei pescatori che riassettano le ultime reti. Il sole scende lento sull'orizzonte per tuffarsi in un mare estivo e cristallino. Gli sguardi dei bambini seguono i gabbiani che lottano per un pesce a fior d'acqua. Il Salento Express fischia, si torna a casa. |
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January 2022
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