Chi percorre le assolate strade di Lecce si lascia incantare dai ricami barocchi della città. E, infatti, è l'architettura la vera regina dell'arte locale. Attraverso la ridondante decorazione delle facciate di chiese e palazzi, anche la scultura diventa, in un certo senso, elemento strutturale della visione architettonica della città. Ma anche la pittura raggiunge vette altissime, attraverso le mani di grandi artisti che hanno lasciato la loro firma anche nel capoluogo salentino. La tela del "pasces oves meas", eseguita nel secondo quarto del '600, è attualmente custodita nel Palazzo del Seminario di Lecce, proveniente dalla chiesa di S. Matteo. E' attribuita a Nicolas Poussin , anche se un giusto scrupolo di prudenza non ne conferma in pieno l'esecuzione. A confermare la mano dell'artista francese, autore del famoso "I pastori d'Arcadia" è il tratto delle figure, composte in un rigore geometrico attorno al Cristo. La meditata e armonica successione delle tonalità cromatiche, la presenza sullo sfondo di una città antica affiancata da alberi e rovine aggiungono elementi propri dello stile pittorico di Poussin. La scena si svolge sulle rive del lago di Tiberiade. Il Cristo Risorto, avvolto in una veste azzurra, in atteggiamento solenne, indica a Pietro il gregge della Chiesa, che deve guidare in sua vece. La monumentalità delle figure e il movimento dei panneggi colgono in pieno tutta la spinta classicista del pittore. Il "Pasces oves meas" raffigura senza dubbio una delle grandi opere che la città di Lecce custodisce gelosamente e che testimonia la sua grandezza nel campo artistico all'epoca del suo rinnovato fermento architettonico.
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Sarà Matera la città italiana designata a ricoprire l'ambito ruolo di Capitale Europea della Cultura per il 2019. Volti tesi e fiato sospeso fino all'annuncio, comunicato dal ministro Dario Franceschini al Collegio Romano subito dopo la votazione dei 13 membri della giuria, presieduta da Steve Green. Il titolo, oltre all'Italia, sarà assegnato anche a Plovdiv in Bulgaria. Le altre città in lizza per l'assegnazione del titolo, finaliste di una precedente selezione, erano Cagliari, Lecce, Perugia-Assisi e Ravenna. A tali città, secondo quanto annunciato dal Ministro Franceschini, andrà il titolo di "Capitale Italiana della Cultura", titolo che sarà promosso a partire dal prossimo anno e che vedrà proprio le 5 città finaliste fregiarsi per la prima volta di tale riconoscimento. Tutto l'impegno profuso fino a questo momento nella preparazione dei progetti in vista del 2019, quindi, non andrà disperso. Un'ipotesi questa che, una volta confermata dal Consiglio dei Ministri, contribuirà a valorizzare il lavoro svolto e che avrà importanti ricadute sul territorio. A Lecce, si sa, dire Sant'Oronzo equivale a dire festa. E non manca di suggestioni, infatti, l'annuale ricorrenza che la città capoluogo celebra in onore del suo patrono. La più "cittadina" delle feste popolari segue gli schemi canonici della tradizione, con la processione, le bande, le luminarie, le bancarelle, i fuochi d'artificio, arricchendo ancor più di colore lo splendido teatro barocco. La statua del Santo guarda, dall'alto della sua colonna, la marea umana che si riversa nella piazza. "Santu Ronzu amante te li furistieri" (Sant'Oronzo amante dei forestieri): così recita un vecchio adagio per sottolineare il forte richiamo della festa sull'intero Salento. Ma, così come esiste un aspetto comunitario della festa, fatto di incontri, luoghi, luci e colori, ne esiste uno personale, familiare, che celebra la ricorrenza ritrovandosi ancora attorno alla tavola imbandita con le ricette tradizionali. Regina per antonomasia della festa patronale è la parmigiana di melanzane che, a buon titolo, a Lecce assume l'epiteto di "Parmigiana te Santu Ronzu". Eccone la ricetta: Ingredienti:
Preparazione
Come secondo, non può mancare il galletto o meglio, come si dice a Lecce, "l'addhruzzu". La tradizione di consumare un galletto arrostito è legata alla vicenda del martirio stesso di Sant'Oronzo. Racconta la tradizione che, quando nel 68 d.C Oronzo subì la decapitazione per essersi proclamato cristiano, un gallo cantò, per annunciare a Lecce e al Salento il sorgere del sole del cristianesimo. Sia il galletto, sia la parmigiana, oggi come ieri, sono elementi di una cultura della festività che fa del banchetto il luogo privilegiato in cui ritrovarsi e sentirsi comunità, mettendo da parte, per il tempo della festa, i problemi e le preoccupazioni dei giorni correnti. Buon Sant'Oronzo a tutti! Un tesoro prezioso riconsegnato al culto e agli amanti dell’arte: da sabato scorso, la cripta della Cattedrale di Otranto, una delle perle architettoniche della città dei Martiri, è riaperta, dopo tre anni di lavori che ne hanno permesso il recupero integrale. Il progetto di restauro conservativo, coordinato dall’architetto Fernando Russo ed eseguito dall'impresa Nicolì s.r.l. di Lequile, grazie ai fondi dell’8 per mille, ha riportato riportare in vita una struttura, che rappresenta idealmente la coabitazione di riti liturgici il connubio e il dialogo tra i popoli del Mediterraneo. Il soccorpo della cattedrale, funzionale all'architettura della chiesa superiore, si caratterizza per una fitta serie di colonne, riproducendo lo stile della cisterna di Costantinopoli. Le 45 campate poggiano su 42 colonne e 23 semicolonne, diverse l'una dall'altra per provenienza, materiale, e foggia del capitello. Le tre absidi, rivolte ad Oriente, si aprono con sottili finestrelle nella via retrostante. L'abside centrale conserva un'affresco della Theotokos in trono, databile al XII secolo, di scuola italogreca. Gli interventi conservativi hanno riguardato l'intera struttura portante interessando colonne, capitelli, pavimentazione e rimodulando l'intero sistema di illuminazione. Nelle fasi di lavoro sono emerse le basi di appoggio dei fusti delle colonne, costituite da fregi scolpiti con decorazioni fitoformi: queste scoperte sono state portate a vista (grazie a un telaio in acciaio corten e vetri stratificati temperati), mentre il formato della pavimentazione riprende quello del 1835 (pervenuto tramite una stampa dell'epoca). L’illuminazione artistica (realizzata dall’impresa DZ engeneering s.r.l. di Forlì) cerca di rispettare la luce naturale del luogo. Appena fuori la cinta urbana cinquecentesca, la preziosa chiesa dei santi Niccolò e Cataldo rappresenta un raffinato gioiello di architettura medievale. Il "Tempio di Tancredi" venne fondato nel 1180 dal conte d'Altavilla come probabile adempimento di un voto, analogamente a Guglielmo I a Monreale, ma forse anche come mausoleo privato. Riccamente dotati di privilegi feudali e di proprietà terriere affidate alle cure dei benedettini, la chiesa e il convento iniziarono a declinare in età sveva e angioina, per essere poi ceduti nel Quattrocento ai padri Olivetani che intervennero sulle strutture medievali. L'architetto Agnus, ricordato nell'epigrafe in facciata, ideò un'originale struttura a croce contratta dalle notevoli ascendenze borgognone, qui perfettamente fuse con elementi di lontana derivazione orientale. Dell'originario prospetto resta oggi ben poco: quando nel 1716 Giuseppe Cino intervenne a movimentare la facciata romanica, decise di salvare soltanto il rosone. Il prospetto appare scandito in verticale da lesene lievemente aggettanti che continuano anche nell'ordine superiore: grande rilevanza è attribuita alle dieci sculture raffiguranti santi dell'ordine degli Olivetani e, sopratutto, all'elaborato fastigio, vero e proprio capolavoro barocco, culminante con lo stemma dell'ordine. La volumetria esterna appare unificata nei suoi diversi prospetti da un'originale teoria di archetti ciechi alternati a lesene pensili. Questo motivo ricorre anche nel campanile a vela e nel tiburio con la singolare cupola "a bulbo" su tamburo ottagonale, di chiara ascendenza islamica. L'elemento più prestigioso è il portale principale, con la presenza di decorazioni fitomorfe nelle tre cornici, cui si aggiunge una quarta poggiante su pilastrini ottagonali e basamento, sembrando quasi avere la consistenza di un intaglio ligneo o di un pregiato stucco arabo. Ferdinand Gregorovius, grande storico tedesco dell'Ottocento e viaggiatore per eccellenza, definiva l'interno della chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo "uno dei più originali monumenti dell'arte normanna e quello che produce la più completa impressione di simmetria e spazialità classica". La singolare spazialità dell'interno è determinata dalla diversità delle coperture (botte spezzata e crociera semplice) e dei sostegni (pilastri, semipilastri, semicolonne). Il braccio longitudinale, suddiviso in tre navate voltate, è interrotto da un transetto poco pronunciato. Poco è rimasto dell'originale decorazione ad affresco: le pitture che animano la superficie interna sono in genere posteriori e risalgono al XV/XVII secolo. Glia altari barocchi, attribuiti a Mauro Manieri, ospitano due tele del pittore napoletano Giovan Battista Lama. "Ho firmato un decreto ministeriale che introduce una vera e propria rivoluzione tariffaria per i musei. Entrera' in vigore il 1 luglio prossimo e prevede la fine della gratuita' per gli over 65, la gratuita' sotto i 18 anni e per alcune categorie come gli insegnanti e delle riduzioni fino ai 25 anni". Cosi' il ministro della Cultura e del Turismo, Dario Franceschini, intervenendo agli Stati generali della cultura in corso a Roma. Franceschini ha specificato che il decreto istituisce anche una giornata al mese con ingresso gratuito nei musei: ogni prima domenica del mese. Inoltre, ha continuato il ministro, "ci saranno almeno due notti al museo con ingresso a 1 euro ogni anno". Un'altra novita' che contiene il provvedimento, ha aggiunto Franceschini, e' l'apertura di tutti i grandi musei fino alle 22 tutti i venerdi'. "Questo intervento sugli orari e sulle tariffe - ha spiegato il ministro - si somma agli altri significativi provvedimenti che il governo sta mettendo in campo per valorizzare il sistema museale italiano: dalla recente norma dell'Art Bonus, fino alle nuove modalita' di trasferimento delle risorse derivanti dagli incassi dei musei. Con queste misure - ha sottolineato Franceschini - ci mettiamo in linea con l'Unione Europea. Si tratta di piccoli passi in avanti ma che vanno nella direzione giusta. Il grande lavoro che resta da fare e' quello di porre fine alla stagione dei tagli alla cultura passando a una nuova stagione di investimenti". (AGI) . Ai margini della città vecchia, poggiata al corpo delle antiche mura di Lecce, sorge la chiesa di S. Maria degli Angeli o di S. Francesco da Paola. Il prospetto della chiesa costituisce un significativo campionario della scultura locale tardo cinquecentesca. Lungo il profilo superiore corrono archetti pensili con testine scolpite sui peducci. La medesima tipologia decorativa, ma con le testine negli archetti, la si riscontra nel fianco dell'edificio. Solo in una fase successiva si provvide all'apertura delle finestre ai lati della facciata e la collocazione della statua dell'Arcangelo Michele a coronamento. Splendida è la concezione del portale, ascrivibile a Gabriele Riccardi, in cui le colonne finemente cesellate reggono un fregio con due coppie di puttini cavalcanti cavallucci marini, su cui svetta la lunetta raffigurante la Vergine col Bambino, incoronata e venerata dagli angeli, in un ulteriore tripudio di cherubini lungo la ghiera dell'arco. L'interno, suddiviso in tre navate da due file di colonne, tanto da far sembrare la chiesa una piccola basilica, oltre all'esuberante presenza barocca di altissimo livello, sia con sculture a scalpellino sia in finissimi stucchi sulla volta, conserva pregevoli tele. Tra le più notevoli, spicca una "strage degli innocenti" (in foto) a firma di Antonio Verrio, il cui soggetto sembra invadere anche i fusti delle colonne d'altare, una monumentale "Madonna di Costantinopoli tra i santi Michele e Caterina d'Alessandria, opera di Gianserio Strafella, e una "Natività della Vergine" di scuola veneta. Conosciuta anche col nome di "San Giuseppe" per via della confraternita titolata al santo patriarca qui residente, la chiesa di S. Antonio da Padova, detta "della piazza" è sita a pochissimi metri dall'anfiteatro, proprio verso quella che, un tempo, era la piazza dei mercadanti divenuta poi "S. Oronzo". La chiesa venne realizzata nella seconda metà del 1500 con l'annesso convento dei Frati Minori Osservanti, poi demolito. Profondamente rimaneggiato nel corso del 1700, a causa di restauri a seguito di un incendio, il prospetto lascia intravedere il rosone del primitivo prospetto, voluto dall'architetto Gian Giacomo dell'Acaya, qui alle prese con l'architettura sacra piuttosto che con quella militare. La statua del santo di Padova è innalzata sul portale laterale, corrispondente all'ingresso della chiesa cinquecentesca, e nella nicchia laterale del nuovo portale settecentesco, rivolto a sud. L'interno, a unica navata e a croce latina, che usa la navata cinquecentesca per transetto, è dotato di tre cappelle per lato, tra loro intercomunicanti e dotate di altare. Tra le opere d'arte degne di nota sono un'imponente tela raffigurante S.Pietro, attribuito a Francesco Fracanzano, una Natività della Vergine di scuola veneziana e una Circoncisione di Gesù di Jacopo Palma il giovane. L'altare più antico, sebbene rimaneggiato nel XVIII secolo, è quello dedicato a S. Antonio da Padova, con la statua lapidea del santo realizzata nel 1539. La soppressione degli ordini religiosi a seguito dell'Unità d'Italia portarono i Frati Minori ad abbandonare la chiesa. E' solo all'inizio del 1900 che l'ordine di S. Francesco tornò a Lecce, stabilendosi fuori la città, nella zona est, precisamente nella villa rinascimentale messa a disposizione dalla nobil donna Letizia Balsamo, nell'area occupata dai possedimenti di don Fulgenzio della Monica, sulla via del mare. Lì nel 1952 venne eretta la nuova parrocchia titolata ancora una volta a S. Antonio da Padova, che , stavolta, sarà detta "S. Antonio a Fulgenzio". "Rotolando in Terra d'Otranto" conclude le sue tappe ad Otranto, nella città più orientale d'Italia, la cui stazione, da perfetto capolinea, già coi suoi binari dà l'idea della fine di un percorso. Si percorre una delle linee più antiche del Salento, inaugurata nel 1872, sul tratto Bologna-Otranto: testimone di tempi in cui il convoglio ferroviario era sinonimo di partenze, alcune volte senza più ritorno. Il paesaggio che accompagna il viaggio sembra uscito da una cartolina: i laghi Alimini all'orizzonte contrastano col mare, circondato da una selva di ulivi e fiori di campo. Poi Otranto: città di acqua e sangue, di gloria e di sconfitte, come un'anziana signora dal volto solcato di secolari rughe figlie di gioia e di pianto. Il gruppo di oltre 150 passeggeri, tra cui moltissimi bambini di una scuola di Zollino, scende le scale della stazione, curiosamente posta al primo piano del palazzo. Si scende giù fino alla foce dell'Idro dove le grotte eremitiche testimoniano ancora il legame con l'altra parte dei mare: un cristianesimo di preghiera e silenzio, di candele e canti greci che ha modellato fino ai nostri giorni la cultura del Salento. Poi le imponenti mura, e qui torna ancora, incessante, la storia di Primaldo e dei suoi compagni, fedeli fino alla morte, di Colangelo pescatore e di Idrusa, destini intrecciati tra il fumo delle bombarde, del capitano Zurlo e Delli Falconi, tenaci combattenti come leoni... Poi silenzio. E nelle ampie navate della cattedrale la storia del mondo, come un film, torna a vivere nelle tessere del mosaico di Pantaleone, superba opera d'arte simbolo dell'incontro tra gli uomini e con Dio. Un salto al castello, proteso sul mare, e poi i bastioni, mentre all'orizzonte i monti d'Albania si stagliano contro un cielo che minaccia pioggia. ma che regala un mare verde smeraldo. Una sosta nella chiesetta bizantina di S. Pietro, sul luogo dove la tradizione colloca lo sbarco dell'Apostolo nel suo viaggio verso Roma, scrigno di arte bizantina e culla della storia del Salento. Cala il sipario mentre il sole all'orizzonte si perde dietro i colli mitici in cui ancora, dopo millenni, i fanciulli di Ovidio trasformati in olivi danzano attorno alle sacre pietre delle Ninfe. Il Salento Express fischia. Si torna a casa. Il campanello della stazione indica l'arrivo del Salento Express. Partito dalla stazione di Lecce di buon mattino, il treno storico del Salento attraversa sonnacchioso le campagne di Novoli, Campi, Salice e Guagnano. Si sente ancora il profumo dei vini che, caricati da queste stazioni, tra la fine dell'800 e gli inizi del 900 han reso famose queste contrade. Il viaggio ha come sua meta finale Manduria, terra del "primitivo" che col suo rosso brillante ha entusiasmato negli ultimi anni la gran parte di esperti enologi. Storie di ieri e storie di oggi, che si incrociano sui binari del tempo. Storie lontane e così vicine, a raccontar di romani e messapi mentre sulla carrozza del treno si assaggia un pasticciotto offerto da Massimo Bray, che condivide con noi il viaggio, col sorriso e la semplicità che da Ministro ai Beni Culturali ci aveva abituato. Il Salento Express ferma la sua corsa alla stazione di Manduria e inizia il viaggio nel tempo: un parco archeologico affascinante e misterioso, capace di regalare magia. E così si parte alla scoperta del Fonte di Manduria, che Plinio il Vecchio ammira e riporta stupefatto nella sua Naturalis Historia. E' lo zampillìo costante della fonte che incanta il vecchio geografo romano: a lui sembra quasi impossibile che, in una cisterna, il livello resti sempre lo stesso nonostante si sottragga o si aggiunga acqua. Ma la sorpresa geologica della fonte lascia il posto al mito: e si racconta dei guerrieri antichi che appendevano mandorle d'oro all'albero che spunta dalla cisterna e che ancora oggi affonda miracolosamente le sue radici nella viva pietra; e poi di galline con pulcini d'oro, e poi di una cerva bianca, a proteggere il sacro luogo. Storie e miti che attraversano i secoli e si fondono tra loro e da Virgilio giungono a noi nella voce degli anziani. Il sole caldo del primo giorno di primavera illumina le poderose mura vecchie di due millenni. Tre cinte diverse, formate da massi megalitici, a proteggere una città che fece dell'indipendenza la sua bandiera. Cinta murarie che han visto l'esercito di Sparta perdere il suo re Archidamo, e l'esercito di Roma entrare vittorioso ai comandi di Quinto Fabio Massimo. Accanto alle mura, ai lati delle strade, distese di tombe per la necropoli messapica più estesa di Puglia. Storie di vissuto quotidiano che sembrano riemergere dalle fosse, dai decori, dalle dimensioni di tombe familiari o per la sepoltura di un solo bambino. Il percorso prosegue tra fiori ed erbe profumate fino alla chiesetta di S. Pietro mandurino. La luce del sole lascia il posto alla penombra di una cripta sotterranea che, da aristocratica tomba, è stata trasformata in un luogo di culto per il principe degli apostoli. Fuori dal parco,la comitiva procede in gruppi verso la cantina: anche qui, scendendo nelle antiche cisterne vinicole, il mondo passato della civiltà contadina rivive e diventa storia. Un sorso di vino primitivo, qualche assaggio e poi ancora in stazione. Il Salento Express è pronto per tornare nella sua casa a Lecce e prepararsi per rotolare ancora nella fantastica Terra di Otranto. |
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